Giada non è più una bambina, anche se a noi genitori piace credere che a 13 loro siano ancora “il piccolino di casa”. In questo bellissimo racconto scritto da lei, però, descrive “la sua Africa”, quella che ha visto con gli occhi una piccola esploratrice a spasso per il mondo…
Ci chiediamo spesso > Cosa significa viaggiare con i bambini < ma forse gli unici a cui dovremmo chiederlo sono proprio loro, i bambini (o ex bambini) che portiamo su e giù per il mondo fin da quando sono in fasce. Ecco il racconto di una piccola grande esploratrice, che rielabora con le sue parole le esperienze vissute in Africa all’età di 7 e 8 anni.
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Un’esperienza che mi ha particolarmente toccato l’ho vissuta nelle estati del 2011 e del 2012. In quegli anni siamo andati in Africa in vacanza, precisamente a Zanzibar nel 2011 e in Kenia nel 2012.
È stata un’esperienza molto particolare, perché ho avuto modo di conoscere un po’ la cultura di un altro popolo e un modo di vivere molto diverso dal nostro.
Questi paesi, infatti, sono molto poveri, perciò una cosa che per noi è normalissimo fare, per loro può essere difficoltosa e comportare numerosi sforzi. Ad esempio noi, quando abbiamo bisogno d’acqua, basta che giriamo una manopola per far azionare il rubinetto che la fa uscire, mentre in molti villaggi del Kenia ho visto che non ce l’hanno, perciò le donne devono percorrere moltissima strada per arrivare in un posto dove viene distribuita, raccoglierla in un recipiente e riportarla a casa.
Questo è molto faticoso a causa del peso dell’acqua, portata solitamente sulla testa, e anche per i kilometri da percorrere: una volta a casa devono poi usarla con parsimonia per limitare la fatica di andare a rifornirsi nuovamente.
Un altro esempio è la corrente elettrica: la maggior parte delle case che ho visto non hanno la luce e gli abitanti, per vedere di notte usano le candele o le lanterne ad olio. Siccome molti possiedono anche i cellulari, per ricaricarli devono andare in appositi negozi che hanno la corrente e anche se vogliono guardare la televisione, vanno nelle case che possiedono, insieme ad essa, un televisore.
A Zanzibar ho conosciuto anche degli uomini che fanno parte delle tribù Masai. Essi provengono dalla pianura della Tanzania, e si spostano sull’isola per guadagnare un po’ di soldi, vendendo in negozi, fatti di legno e paglia, oggetti artigianali, come ad esempio statue di legno, bracciali, giochi tipici e magnifici quadri che ritraggono la savana o i Masai stessi.
Nonostante vivano ancora nelle tribù, possiedono quasi tutti un telefono touch screen per comunicare fra loro e anche per altri utilizzi. Ad esempio, un masai ci ha fatto vedere un video della sua mandria di mucche in Tanzania, perché esse sono il loro tesoro, da cui ricavano il latte, la pelle e la carne.
Mi ha colpito molto la differenza delle cose che filmano e a cui tengono, rispetto a noi.
Un lavoro comune a Zanzibar è la raccolta delle alghe. Praticata soprattutto dalle donne. E’ un lavoro molto faticoso perché viene fatto tutto a mano. Le donne devono andare in acqua a raccogliere kili e kili di
pesantissime alghe bagnate per poi andare a stenderle su una corda e farle seccare. Le alghe vengono poi vendute per essere utilizzate per scopi cosmetici e terapeutici.
Molti degli abitanti dei villaggi in Africa possiedono case fatte solo di fango e paglia e, non essendo molto solide, può succedere che durante la stagione delle piogge ci si ritrovi senza un rifugio perché con l’acqua il
fango si scioglie. Questa cosa mi ha impressionato molto perché, perdere la propria casa deve essere tristissimo e trovare un altro alloggio momentaneo, ricomprare tutte le cose che si sono perse e costruirne un’altra, non avendo la sicurezza che anche quella regga, deve essere dura.
In questo modo sono fatte anche le scuole dove vanno i bambini. I banchi e le sedie delle scuole che ho visitato erano malandati e fatti di plastica e attaccato al muro avevano dei sacchi di juta, da usare al posto dei cartelloni che non possedevano, dove le maestre con ago e filo avevano scritto le tabelline.
Gli alunni non avevano tanto materiale scolastico, come libri, computer o cancelleria di vario tipo, ma possedevano pochi quaderni e qualche penna, e la loro merenda non consisteva in merendine al cioccolato o tramezzini, ma in una tazza di porridge, uno dei cibi meno costosi perché servono solo farina e acqua per prepararlo.
Questi due viaggi in Africa sono stati i più toccanti che abbia mai fatto in vita mia e sono stati nello stesso tempo magnifici, perché mi è piaciuto molto vedere nuovi posti e persone di una cultura diversa.
La cosa che mi ha colpito maggiormente è stato il pericolo di perdere la casa, anche se ho capito che sono tante le insidie che un popolo povero deve affrontare e noi, con tutte le comodità che abbiamo, dobbiamo
ritenerci fortunati.
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Giada
{testi e fotografie di Giada}
{foto di copertina, via Shutterstock}
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