Non sarà un vero e proprio racconto di viaggio, questo, ma un piccolo grande sfogo per ricordare un weekend preziosissimo, vissuto esattamente un anno fa a Londra. (*)
Negli ultimi anni, qui, è nata spontaneamente una bella tradizione per celebrare la festa della donna: organizzare un viaggetto tra amiche da qualche parte nel mondo. Dopo piacevoli esperienze in Italia, tra le nostre meravigliose città e i miei amati vulcani, per l’8 marzo 2020 la meta prescelta è stata Londra. Ci siamo regalate il biglietto nel mese di dicembre (con la “scusa” che una di noi festeggiava i 40 anni) e nelle settimane successive ci siamo dedicate alla condivisione delle tappe che desideravamo visitare.
Negozietti, musei, stradine, pub, mercati: la nostra google map era piena di puntini sparsi in varie zone della città, tra i quali avremmo scelto una volta arrivate a destinazione.
Tramite Airbnb abbiamo prenotato un carinissimo appartamento in centro, a due passi dalla metro e da Chinatown, perfetto per visitare Londra (a parte il vicino di casa con istinti omicidi verso gli ospiti Airbnb, ma vabbeh, se sono qui a raccontarlo…).
Tutto era pronto per il nostro weekend londinese e ci prefiguravamo già 3 giorni di serene chiacchiere a spasso per una delle città più affascinanti del mondo, quando proprio lui, il nostro amato mondo, ha iniziato ad essere colpito da una “storiella” sempre più invasiva che prendeva il nome di coronavirus.
Veniva dalla Cina, quel cosetto, e sembrava potesse diventare un flagello di portata mondiale, poi no – tranquilli – in Italia non arriva. Poi Codogno balza alle cronache italiane e in pochi giorni si parla solo di questo paesino che in pochi probabilmente conoscevano. Mentre si avviava quello che oggi chiameremmo il più efficace contact tracing della gestione pandemica italiana (quello sul povero 38enne di Codogno di cui hanno scandagliato ogni singolo spostamento nelle 2 settimane precedenti), gli altri paesi iniziavano a tagliarci fuori.
Ogni giorno, quasi ogni ora, venivamo informati di frontiere che chiudevano, di italiani non graditi di qua e di là.
Mentre il terrore iniziava a risuonare da tutte le televisioni italiane, il mio pensiero da viaggiatrice seriale, per passione e per lavoro, era fisso sui nostri viaggi che rischiavano di svanire nel nulla, e non riuscivo a capacitarmi di come fosse possibile. Quella partenza per Londra stava assumendo un significato profondo, anche se ancora non lo sapevo.
Ricordo nitidamente l’ansia dell’attesa del volo nella lounge dell’Aeroporto Marconi di Bologna, con un occhio incollato al sito della Farnesina per monitorare eventuali restrizioni last minute, e un altro al monitor delle partenze. Non è certo bastato un calice di vino a farci tranquillizzare.
Ma su quel volo ci siamo salite.
Saremo stati in 10, forse 20, su un Airbus British Airways che in un venerdì sera di marzo collegava Bologna a Londra.
Rivedo i nostri volti oggi, allegri e senza mascherine, e mi sembra di vedere delle bambine che corrono allegre verso l’età adulta, con leggerezza e incoscienza.
L’emozione di un viaggio tutto nostro, l’atterraggio in un Heathrow spaventosamente deserto, il timore di non capire qualcosa, la fila sbagliata al controllo passaporti, l’incapacità di rispondere con simpatia alla battuta del poliziotto, il selfie con la gigantografia della Regina, la metro verso la città…
Salire su per le scale che dall’underground ci portavano fino alla strada è stato come riemergere da una tenebra che aveva coperto il primo tratto del nostro viaggio.
Dopo il silenzio surreale negli aeroporti, in aereo e sulla metro, mi sono affacciata su Londra con gli occhi che bramavano di capire cosa stesse succedendo lassù. E lassù era la normalità.
In un normalissimo venerdì sera londinese, la città era normalmente piena di giovani che andavano nei soliti locali, a cena, nei pub, e poi in fila davanti alla discoteca con gli amici di sempre.
Ricordo quel momento come una delle più belle emozioni provate nel corso degli ultimi 12 mesi.
Ero stata in apnea per tutto il viaggio. Appena i miei piedi hanno toccato l’asfalto della city ho iniziato a respirare profondamente, a pieni polmoni. Ho avuto la nitida impressione (che si trattava più di una premonizione, in realtà) che stavo scappando da una prigione per assaporare la libertà.
Quel momento, quel colpo di defibrillatore, quella boccata di ossigeno di cui ho accumulato scorte per 3 giorni, sono stati IL SENSO del mio viaggio a Londra. Sono stati importanti dal primo secondo, ma soprattutto nei mesi successivi, quando solo ripensare a quella scorta di leggerezza mi ha dato un briciolo di energia per sopportare quello che stava succedendo.
Le mie amiche. Londra. La mia libertà. Respirare. Scoprire pezzi di mondo. Può, un viaggiatore, desiderare qualcosa di più prezioso, oggi? Il viaggio a Londra mi ha consentito di imprimere bene nella mente e nel cuore le emozioni di cui non voglio privarmi e che voglio tornare a provare appena ci sarà consentito.
Di quei tre giorni ho impressi nella mente e nel cuore fotogrammi nitidissimi, come se mi fossi stampata un meraviglioso fotoalbum da sfogliare quando voglio.
I noodles da asporto la prima notte (perché tutti i locali e i pub erano pieni o già chiusi). I nostri occhi puntati ai ristoranti pieni di gente, agli edifici in stile vittoriano, ai pub, a tutto quello che rappresenta Londra da sempre nel nostro immaginario.
La mia emicrania della prima mattina (maledette somatizzazioni).
Le amiche che tornano a prendermi con una pallina antistress a forma di bomba vulcanica, che ancora conservo in bella vista sulla scrivania.
I km macinati a piedi in lungo e in largo.
Una navicella spaziale che non ho comprato.
I mercatini e i negozi di Camden Town, la food court invasa di gente, e noi con le nostre vaschette di cibo che ci appoggiamo su un tavolino preso di mira dai piccioni sovrastanti (ma solo una “fortunata” li ha testati direttamente).
L’aperitivo allo Sky Garden, prenotato settimane prima, con un cocktail in mano e gli occhi incollati a Londra by night.
Le incantevoli casette colorate a Neal’s Yard (ma perché non le conoscevo? Quanto ne sanno le mie amiche?).
La felpa bianca corta comprata per le nostre figlie.
E quell’ultima serata al pub.
Immerse nella nostra pseudo normalità, a due passi dal Tower Bridge, in attesa degli hamburger e di poter giocare con uno strano gioco di società gigante presente in sala, dall’Italia arrivano notizie di una bozza di DPCM che avrebbe vietato ogni tipo di spostamento.
Era il 7 marzo e il celeberrimo DPCM passato sottobanco alla stampa in versione non definitiva, sarebbe entrato in vigore dopo 2 giorni.
Tutto il resto è storia, ma storia davvero, mica per dire, anche se nei libri non sarà possibile riassumere cosa abbiamo provato quella sera, tra incredulità e rabbia (quella soprattutto io, devo ammetterlo).
Uscite dal locale, passeggiando lungo il Tamigi, in fondo in cuor mio forse sapevo che sarebbe stato l’ultimo viaggio vero per un bel pezzo, ma era una cosa talmente più grande di me che ho rifiutato di accettarla sul momento (anche dopo, in realtà).
Ma non è certo bastato un ufficio stampa governativo un po’ distratto a rovinare quell’esperienza. Anzi, proprio la precarietà in cui siamo piombati mi ha reso ancora più consapevole di quanto sia utile e terapeutico trovare vie di fuga, mentali ma anche geografiche, per mantenere energia e lucidità..
Dopo un’ultima passeggiata mattutina a Covent Garden, siamo tornate a casa di corsa perché British aveva cancellato il nostro volo, anticipando la partenza, ma lo abbiamo fatto con il cuore leggero, dedicando le ultime ore di viaggio allo shopping in aeroporto, a un ottimo pasto gustato guardandoci negli occhi e dicendoci che sì, sticazzi, ai problemi ci pensiamo domani, intanto oggi VOLIAMO!
(*) Come al solito, tengo a fare una precisazione che potrebbe sembrare superflua, ma preferisco non dare adito a incomprensioni: in questo blog parliamo di viaggi e i miei contenuti si limitano a raccontare esperienze ed emozioni relative ai viaggi. Non parlare degli aspetti sanitari è una scelta, poiché questi temi esulano da quelli trattati su Bimbieviaggi e soprattutto dalle mie competenze.
Milly
{testi e fotografie di Milena Marchioni}
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Sei riuscita a farmi immaginare i luoghi e gli spazi… hai trasmesso delle emozioni che sono arrivate dritte al cuore… Sarà che noi, il nostro ultimo viaggio in aereo lo abbiamo fatto il 19 febbraio 2020, e alcune sensazioni, col senno di poi, le ho vissute anche io… come se stesse per succedere qualcosa… qualcosa non mi tornava… E il resto, come giustamente dici tu, è storia…
Sì, esatto… Sensazioni stranissime, un anno fa e anche oggi… magari un giorno daremo un senso ancora diverso…